Ho finito Mille splendidi soli l'11 marzo 2023. Ci ho messo esattamente 20 giorni, a cavallo tra l’inizio del nuovo semestre e la fine delle giornate fredde e tranquille, passate sotto le coperte e con la stanza piena dell’odore di un’ottima candela alla lavanda. Non saprei dire se una ventina di giorni siano da considerarsi una lettura veloce o meno e, nonostante siano ormai passate più di due settimane da quando ho ripiegato la copertina posteriore, non saprei nemmeno spiegare in maniera chiara perché questo romanzo sia al contempo un’eccellente via di fuga e un duro pugno allo stomaco da parte di una realtà che io per prima ho sempre sentito distante.

Questa non è una recensione accurata, uno svisceramento magistrale di un’attenta lettrice che voglia spiegare in ogni dettaglio ciò che ha amato e quando intensamente abbia pianto in questo o quell’altro passaggio, quanto abbia odiato quel certo personaggio e quanto si sia annoiata fino ad addormentarsi. Per quanto ci possa essere la voglia mancano sia la fermezza che quel minimo di distacco per valutare la scrittura di Khaled Hosseini nella sua interezza, giudicarlo bene dove effettivamente meritava gli elogi e storcere il naso nelle parti dove il suo talento ha vacillato. Non parlerò quindi di Mille splendidi soli come il romanzo di Khaled Hosseini, di come lui abbia scritto così poco ma con così tanta abilità lasciare il segno nei suoi lettori. Parlerò di me e di Mille splendidi soli, di come ho schiacciato e fatto seccare un fiore tra la copertina e la prima pagina e del post-it che ho di getto scritto e appiccicato il giorno in cui l’ho terminato. Parlerò delle sue piccole pieghe e di tutti i suoi segna-pagina, delle sottolineature a matita leggere che di solito non faccio sui libri ma che questa volta sentivo il bisogno di fare, per ritrovare un giorno quella frase che mi sembrava tanto geniale, tanto emozionante, riscoprirla nuovamente, colpita forse allo stesso modo o forse con una nota di malinconia, perché la magia di quel momento è svanita e me n’è rimasto solo il ricordo.

Un libro che ho letto stando in piedi sul vagone della metro quando mancavano i posti a sedere, mentre andavo all’università o a lavoro. Un libro che ho letto sdraiata al sole nei giorni più caldi, di cui ho gustato i colpi di scena e poi sono tornata alla mia vita, chiedendomi tra un da fare e l’altro cosa sarebbe accaduto dopo, pregustando il momento in cui sarei tornata alle sue pagine sottili. Un libro che ho disperatamente protetto dalla pioggia e dalla mia stessa sbadataggine, dentro cui ho urlato di gioia e pianto e grazie al quale ho conosciuto il lato più fragile della persona che più amo, con cui ho condiviso le mie riflessioni e le mie teorie, molte dei quali rivelatesi incredibilmente esatte per altro. E così dentro questo libro ci sono i nostri pranzi insieme, le tazze di tè caldo. Ci sono io che euforica urlo non appena ci rivediamo, senza nemmeno dire “ciao”, perché quel colpo di scena era così forte da non poter essere lasciato al silenzio delle sue sottilissime pagine. Ed ancora, dentro questo libro c’è la mia influenza, i tre giorni passati a letto e le notti prive di sonno.

Perché una società non ha nessuna possibilità di progredire se le sue donne sono ignoranti.

Così Hosseini mi colpisce, mi conquista, mentre sdraiata a letto ascolto il rumore della pioggia battente. Rimane impresso a fuoco nella mia mente, tra l’immagine dei tulipani che sto coltivando, il cui stelo finalmente si è fatto robusto, e la lavanda, che da poco è germogliata, lì nel suo piccolo barattolo pieno di terriccio.

Imparalo adesso e imparalo bene, figlia mia. Come l’ago della bussola segna il nord, così il dito accusatore dell’uomo trova sempre una donna cui dare la colpa.

Questa è la società misogina e fanatista che Hosseini ritrae, fatta di uomini violenti, di un Afganistan diviso dalle guerre civili. Una società ostile per ogni individuo che sia anche solo minimamente affezionato al concetto di libertà e soprattutto, infernale per le donne che vi abitano.

Donne, attenzione: Dovete stare dentro casa a qualsiasi ora del giorno. Non è decoroso per una donna vagare oziosamente per le strade. Se uscite, dovete essere accompagnate da un mahram, un parente di sesso maschile. La donna che verrà sorpresa da sola per la strada sarà bastonata e rispedita a casa. Non dovete mostrare il volto in nessuna circostanza. Quando uscite, dovete indossare il burqa. Altrimenti verrete duramente percosse. Sono proibiti i cosmetici. Sono proibiti i gioielli. Non dovete indossare abiti attraenti. Non dovete parlare se non per rispondere. Non dovete guardare negli occhi gli uomini. Non dovete ridere in pubblico. In caso contrario verrete bastonate.

Ed ancora

«Dio ci ha fatto in modo diverso,» aveva spiegato il giovane talebano «voi donne e noi uomini. Il nostro cervello è diverso. Voi non viete in grado di pensare come noi. Medici occidentali l’hanno dimostrato scientificamente. Ecco perché richiediamo solo un testimone maschio, ma due testimoni femmine.»

Laila e Mariam, due protagoniste quanto mai diverse ma rese così vicine da una sfortunata sorte, riescono a farsi coraggio a vicenda in questo scenario a tratti a noi così vicino, la borghese società occidentale, e poi di colpo così distante, tra le immagini dei bombardamenti e le forme più crude di fanatismo religioso e di regime. Una storia reale, senza illusioni, capace di punirti per delle speranza mal riposte, cruda ma che lascia quanto spazio basta alla speranza di un futuro più luminoso. In un’ambientazione dove la miseria sembra regnare sovrana e causa groppi alla gola, la complicità delle due scalda il cuore e permette di divorare interi capitoli senza mai fermarsi.

Un racconto di amore e sorellanza, rabbia, paura e spensieratezza. L’abbandono dell’innocenza e la creazione di amicizie indissolubili. Tutto questo e molto altro ancora è Mille splendidi soli, che esce fuori dalle macerie della disastrata Kabul e si fa largo nel cuore di chi legge.

Il personaggio di Tariq, archetipo dell’uomo afgano moderno e ritratto dello stesso Hosseini, che con la sua timidezza e il suo coraggio ci racconta di tutti quegli afgani che continuano ad amare, rispettare e supportare le donne della propria società, entrando in empatia con loro senza la presunzione di rubarvi la scena, di essere eroi nella loro battaglia.

Il personaggio di Rasheed, che tanto è facile detestare. Rasheed il manipolatore, il bruto. Il suo ritratto è tanto vicino all’Afghanistan retrograda ed oppressivo quanto lo è alle idee misogine che ancora ad oggi affliggono l’Occidente. Rasheed che dipinge se stesso come eroe mentre approfitta della propria posizione per abusare di donne fragili, la cui unica alternativa sarebbero la strada, la fame e la prostituzione.

E ancora Fariba e Hakim, Nana e Jalil, personaggi che pur essendo considerati secondari sono ricchi di carattere, pieni di difetti a renderli tremendamente reali, così fragili e di cui è possibile comprendere il dolore, le motivazioni dei comportamenti che li hanno a tratti fatti sembrare così tanto detestabili.

Riporre questo libro ha portato con sé quel vuoto di cui i lettori tanto parlano, ma più di ogni altra cosa, ha lasciato in me il desiderio di raccontarci (me e lui, il libro) e un’incredibile voglia di costruire nuovi ricordi.