Volto in fretta e furia l’ultima pagina di uno dei bestseller degli ultimi anni per correre a scrivere quella che, già arrivata a metà libro, sapevo essere una recensione arrabbiata, piena di delusione.

Un romanzo di una giovane autrice definita talentuosa, acclamato e moderno, che riempie le vetrine delle librerie, finisce ora sul fondo della mia libreria bollato come “vuoto” e mentre certo di identificare il motivo del mio malcontento vado a ritroso, ripensando alle ultime due settimane, nel tentativo di condensare i momenti belli e brutti che questo libro mi ha regalato, accorgendomi però che c’è ben poco da tirar fuori.

Tra le mie note della settimana scorsa ritrovo scritto “Sally Rooney è un po’ come lo scienziato de Il gatto che voleva salvare i libri, quello che li ritaglia”, che per chi non avesse letto “Il gatto che voleva salvare i libri”, senza troppi spoiler, dico che è un personaggio amabile quanto controverso che, caratterizzato dal suo impegno nel voler riassumere tutti i libri del mondo in poche semplici frasi affinché la gente possa leggere di più, finisce con il privarli del loro significato originario, non lasciando spazio al piacere del viaggio che la lettura porta con sé.

La Rooney, un po’ come lo scienziato che in maniera abile e svelta ha ritagliato centinaia di idee fino a svuotarle completamente, ha ritagliato dalla realtà odierna i temi cari alla nostra generazione: il femminismo, la crisi climatica, la precarietà lavorativa e la salute mentale per appiccicarli alla bene e meglio e plasmare i suoi quattro protagonisti arrivati alla crisi dei trent’anni, legati gli uni gli altri da relazioni tremendamente tossiche.

Alice, socialmente inetta però considerata geniale, scrittrice di successo ma emotivamente instabile, che espone una facciata da fiera femminista ed anticonformista ma che poi accantona ogni ideale per dividere il letto con un uomo che sfoga le sue tendenze depresse nella pornografia più brutale, ovviamente avendogli prima fatto una ramanzina su quanto le sue azioni siano deplorevoli ed umiliati per le donne tutte, su quanto sia un maschio tossico, prodotto della società patriarcale, per poi venire accantonate davanti ai poveri sentimenti feriti di lui, senza nessuna riflessione particolare in merito. Ammetto che l’incoerenza non motivata è una cosa che mi causa non poco prurito. Avrei preferito una qualche riflessione atta a giustificare un cambio di rotta così radicale, quanto meno non mi avrebbe dato l’idea di una protagonista povera di carattere come le tante presunte “donne forte ed indipendenti” scritte dai classici - da leggere con tono volutamente in tono piccato - mediocri maschi bianchi eterosessuali, che poi abbandonano ogni forma di amor proprio per approdare in un’insignificante storia d’amore.

Anche Eileen, l’altra protagonista femminile, non scherza. Una donna intelligente ma priva di autostima, finita a fantasticare sull’essere la brava mogliettina di Simon, l’uomo di cui è stata innamorata per tutta la vita, emotivamente distante manco orbitasse oltre Plutone (che non ricordo mai essere ancora declassato a pianeta nano o meno). Eilneen che non ha stimoli nella vita, che è “depressa” ed incompresa perché altrimenti non può essere una protagonista femminile stereotipata in cui le adolescenti possono rivedersi. Perché l’autrice ci dice questo delle sue protagoniste, che sono depresse, in crisi, che tra una dose di anti-depressivo e una mental breakdown, senza mai dirci perché, senza mai parlare apertamente di come si arrivi e ci si senta in una fase delicata della vita. Mi azzarderei a dire che non lo sa. Che ha costruito dei personaggi in crisi perché la nostra generazione ama dire di essere in crisi, leggere di personaggi in crisi, perché la fetta più a sinistra e woke della società ha deciso che essere tormentati ci rende interessanti.

Con questo non sto dicendo che la nostra generazione non sia in crisi o non abbia il diritto di essere in crisi, che sia tutta una farsa, semplicemente il male di vivere sembra essere diventata una cosa glamour, una condizione con cui convivere fino alla fine dei tuoi giorni. Nessuna discesa profonda nelle cause del malessere generazionale che ci ha colpito, nessun messaggio sui possibili improvement, solo una triste strumentalizzazione dei disturbi mentali.

Gli uomini in questo romanzo, manco a dirlo, sono tutti emotivamente distanti e “i poverini che si devono sorbire i melodrammi delle donne”. Anche qui nessuna particolare spiegazione.

Se nella vita reale conoscessi qualcuno come Felix immagino che attraverserei l’Atlantico a nuoto piuttosto che passare oltre dieci minuti nella stessa stanza. Un uomo adulto con una visione dell’intimità e della sessualità spaventosamente adolescenziale, dipendente dalla pornografia, che si perde in inquietanti feticismi sul corpo minuto della sua compagna (e lei, Alice, la grande femminista, invece di alzarsi ed andarsene sta pure lì ad ascoltarli i commenti su quanto sia eccitante la sua fe**a stretta - e giuro di averlo esplicitamente letto e non è una mia derivazione). Non dimentichiamoci quella puntina di bi-fobia spacciata per glitter LGBTQI+. Lui, un uomo bisessuale, che ci prova letteralmente con chiunque e che, in situazioni di indigenza, finisce con il vendere il proprio corpo, che finisce in una relazione aperta con una donna bisessuale. Il classico stereotipo sui bisessuali promiscui, che cambiano partner un po’ come cambiano mutande e che vanno con chiunque gli capiti a tiro.

Simon invece è dipinto come l’uomo perfetto. Emotivamente distante ma hey, puoi citofonargli alle 3 del mattino perché sei in crisi e ti terrà stretta tra le sue braccia. Spero di non dover aggiungere la “/s” per far capire che voglio essere pungente contro la romanticizzazione di un certo archetipo di protagonista maschile che pensavo avessimo lasciato al 1999 con “10 cose che odio di te”.

La storia di questi quattro, del loro disagio perenne, va avanti per circa 300 pagine di nulla più assoluto, con Alice che nelle mail con la migliore amica che non vede da tempo passa, in pochissime righe, dal parlare della sua vita di tutti giorni alla sua afflizione per il cambiamento climatico, per poi ricondursi a grandi classici della letteratura, a questioni di natura politica o a qualsiasi altra cosa possa entrare in un classico programma di un partito di sinistra in prossimità delle elezioni. Con loro che si prendono a parole e poi fanno pace, che vivono relazioni morbose nella più completa incapacità comunicativa.

La cosa che mi sconforta ancora di più è che questo non è un libro della serie Armony venduto a 99 centesimi ma un libro che ho visto letteralmente dovunque, in cui una fetta abbondante del mondo e soprattutto della generazione che oggi ha dai 20 ai 30 anni si rivede.

Il che sarebbe anche coerente con la sterilità di pensiero di una generazione che vuole sobbarcarsi le lotte di tutti perché è incredibilmente eroico essere i martiri dei diritti sociali, civili ed ambientali, e che poi finisce con una conoscenza nozionistica, risicata, di tutti questi argomenti. Con un femminismo brandizzato Freeda e quella puntina di eco-ansia che ti fa comprare la bottiglia in plastica riciclata da accompagnare al quarto tramezzino al prosciutto della settimana.

Sono dispiaciuta perché la prima volta che scelgo di fidarmi di un libro popolare coincide con l’essere la mia lettura peggiore dell’anno ma soprattutto sono scoraggiata da questo spaccato di povertà intellettuale.